L’abbaglio della fine della scuola

Il Sole 24 Oredi Roberto Casati
La vulgata della scuola del ventunesimo secolo prevede: classi “agili”, con studenti che guardano contenuti online e ne discutono poi tra di loro. Insegnanti “leggeri”, con il ruolo di “facilitatori” delle suddette discussioni tra gli studenti. Scomparsa progressiva della lezione frontale, e quindi della preparazione della lezione da parte degli insegnanti.

Alunni romani negli anni '30

Per chi non se ne fosse accorto, c’è una logica profonda che sottende questa visione: si tratta di depotenziare l’insegnante, di spiarne e soppesarne le più infime mosse, e all’orizzonte di sostituirlo. Con cosa? Con qualcosa di meno tornito e dal profilo incerto, ma che grosso modo si configura come un tecnico di classe, dalla formazione altrettanto leggera di quella che dovrebbe impartire, la quale sarà affidata a delle società di formazione e di impacchettamento di semplici contenuti, e che non prevederà poco più che la capacità di premere i bottoni giusti su gadget digitali che ovviamente cambieranno di anno in anno. Non bisogna scavare troppo a fondo per capire che cosa bolle in pentola: lo spostamento di ingenti risorse economiche che oggi vanno a coprire i costi di personale della scuola e che domani saranno oggetto di una spartizione tra vari attori esterni, dai produttori di gadget alle società di formazione.

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