La guerra dei presidi contro i gruppi WhatsApp

WIRED.itdi Vanessa Niri
Una volta i genitori si parlavano all’uscita da scuola. Adesso lo fanno via WhatsApp.
Ma il cambiamento non è soltanto nello strumento, la possibilità di comunicare sempre e con tutti porta ad un aumento della conflittualità: lamentarsi per i bassi voti dati da una maestra, un pomeriggio all’uscita da scuola, non fa male a nessuno.
Farlo ripetutamente, senza limitazioni di orario e di presenza, mandando contemporaneamente il proprio messaggio ad altri venti, venticinque genitori, rischia di trasformare una lamentela in una violenza.

Del resto, a finire fra le grinfie degli inflessibili giudizi genitoriali da smartphone, non sono soltanto gli insegnanti ma, in generale, tutti quelli accusati di influire negativamente sul benessere del proprio figlio. Spesso, in primis, i bambini più fragili: disabili, stranieri, ripetenti o semplicemente “diversi”.

Una battaglia sacrosanta, quindi, quella dei dirigenti, che hanno il dovere di tentare ogni strada per garantire ai bambini e ai ragazzi il clima migliore possibile all’interno delle scuole. Ma se la guerra è giusta, ad essere sbagliata sembra proprio la strada del proibizionismo.

Piuttosto che proibire, forse si potrebbe iniziare a ragionare della necessità di inserire una o più figure di mediazione tra genitori e insegnanti: professionisti capaci anche di moderare gli animi all’interno delle piattaforme informatiche, oltre che facilitare le comunicazioni scuola/famiglie all’interno del tempo curricolare.

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 lunedì 17 Ottobre - 2016
Scuola
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