Se gli algoritmi a Scuola uccidono il pensiero analitico

di Alberto Berretti, professore di Analisi di Uniroma2
La forma di pensiero prevalente tra gli studenti che mi capitano negli ultimi anni è quella analogica, basata sul pattern matching: vedi un problema e senza necessariamente capire di cosa si tratta, cerchi di ricordarti a cosa somiglia che tu abbia già visto.
A questo punto tenti di applicare la medesima tecnica – appunto  meccanicamente – ignorando completamente però il meccanismo: perché il ragionamento basato sul pattern matching, alla fine, è si meccanico, ma ignora la meccanica dei problemi.

Il pensiero è diventato meccanico, basato su rigide regole che devono essere applicate sequenzialmente, un algoritmo insomma, ma questa rigidità algoritmica del pensiero è incapace di concepire la complessità di un problema che ha le sue regole certamente meccaniche (come tutte le regole della matematica, abusando del termine “meccanico”), ma che combinate insieme danno luogo ad una infinita combinazione di problemi in cui ti devi orientare pensando, non con un big data de noantri fatto di memorizzazione di tecniche da associare a classi di problemi prestabilite.

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