La legge sulle ‘soft skill’ è l’ennesimo tentativo di snaturare la scuola
La legge introduce un’ulteriore attività, trasversale a tutte le discipline, che potrebbe/dovrebbe servire ad affiancare le competenze tecniche e culturali (hard skills), i contenuti e i metodi delle discipline scolastiche, con quelle generate dall’intelligenza emotiva dei ragazzi e dal loro background famigliare e sociale (soft skills).
L’ipotesi su cui si regge il tutto è che le soft skills siano “insegnabili”, ovvero che la scuola debba occuparsene trattandole come discipline trasversali alle materie curricolari.
La scuola deve cambiare, deve tornare a essere lo strumento con cui la società, la nostra, garantisce sviluppo del pensiero critico, la libertà di studiare il mondo e di analizzarne le altrui interpretazioni per arrivare ad averne una nostra, facendo tesoro delle conoscenze che la psicopedagogia mette a disposizione, delle tecnologie che facilitano e complicano le cose nello stesso momento, dei cambiamenti sociali che impongono una diversa articolazione dell’apprendimento delle giovani generazioni.
La legge sembra prefigurare l’esatto contrario: un mondo in cui la scuola, caricata dell’obiettivo di formare anche il carattere, produce giovani resilienti e obbedienti, tanto carini se no per loro finisce male.
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